Rompere il ghiaccio: iniziare la propria attività come coach

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Vi ricordate quando, da adolescenti, volevate invitare ad uscire la ragazza dei vostri sogni (ai miei tempi le ragazze non invitavano i maschietti ma ora è tutto cambiato e l’esempio si può benissimo fare al contrario) pensavate sempre a lei e non sapevate come fare perché era la prima volta che invitavate fuori qualcuna?

Vi chiedevate cosa sarebbe successo se per caso lei avesse accettato l’invito e vi sentivate talmente insicuri che quasi speravate che non lo facesse: cosa avreste fatto? Passeggiata romantica? Pizza? Cinema?

Inoltre, la ragazza era oggettivamente carina e piaceva un po’ a tutti: e se qualcun altro più attraente l’avesse invitata e vi foste beccati un NO secco? Come avreste reagito?

Magicamente con la seconda fidanzata o fidanzato in genere tutto riusciva più facile, semplice, il primo passo, il secondo e il terzo li facevate senza pensarci, vi venivano naturali.

Quando frequentiamo la scuola di coaching ritorniamo quasi tutti ad essere un po’ insicuri, adolescenti.
Sappiamo bene che vogliamo diventare coach (la ragazza dei sogni), ma fare il primo passo (invitarla fuori), proporsi al primo cliente è molto difficile. Perché?

In alcuni casi le persone che decidono di fare il percorso per diventare coach sono persone che in precedenza hanno lavorato in azienda come dipendenti e pensano che per proporsi in modo autorevole ad un pubblico esterno ci sia bisogno di un “brand”, possibilmente riconosciuto, noto, anche solo per essere considerati come fornitori.

Non siamo abituati all’inizio a proporci come professionisti (chiederle di uscire), a “metterci la faccia”, a contare esclusivamente sulle nostre forze e all’inizio facciamo decisamente fatica. Solo dopo svariati tentativi ci rendiamo conto che questa professione è fatta di persone che creano, giorno dopo giorno, la loro reputazione, il loro brand personale, che conta molto più del brand aziendale. Infatti il lavoro lo facciamo noi, personalmente.

Dunque è importante fare il primo passo, buttare il cuore oltre l’ostacolo, chiedere e ottenere in risposta dei sì e dei no e costruire sull’esperienza. E il primo scoglio è superato.

Quando finalmente riusciamo ad avere l’attenzione del nostro primo cliente ci chiediamo: saremo in grado, noi proprio noi, di assisterlo come merita?

(La ragazza ha accettato il nostro invito e ora come facciamo a gestire la situazione? Dove la portiamo, come la trattiamo affinché si innamori di noi? Panico!)

Molte persone scelgono il coaching come professione perché vogliono essere utili al prossimo, supportarlo, sentire che possono aiutare gli altri a cambiare e a raggiungere i loro risultati.

Vogliamo dare il massimo della prestazione e, spesso, fin dall’inizio ci sentiamo addosso la pressione, la responsabilità di dare il miglior supporto possibile alle persone che si affidano a noi. Quasi non ci sentiamo all’altezza dei nostri clienti.

Bene, c’è una buona notizia per tutti noi che siamo fatti così e che ci siamo passati:

Nella maggior parte dei casi il coaching funziona “nonostante” il coach.

Quindi non è il caso di preoccuparsi tanto delle nostre personali capacità come coach. Per superare il secondo gradino è importante ricordarsi che il coach di solito non opera a cuore aperto, che la vita del cliente non è in pericolo, che il risultato dipende dal coachee ed è del coachee e che spesso per avere un buon livello di coaching, almeno all’inizio, basta fidarsi pienamente del processo e del proprio cliente e garantire la propria Presenza.
Questo rappresenta già un grande valore per il nostro cliente.

Superato anche il secondo gradino iniziamo a confrontarci con la concorrenza e ad ottenere i primi rifiuti.

(La ragazza piace e ha altre alternative per trascorrere allegramente la serata)

Come si fa, di fronte alla concorrenza, a perseverare, a trovare la propria strada come coach?

È vero, ci sono molti coach sul mercato e quasi tutti, almeno all’inizio, hanno più esperienza di noi. Ma ciascuno di noi ha una sua specificità, una capacità, un’esperienza umana o di lavoro che lo rende unico.

C’è chi è un esperto di settore o di una funzione aziendale, chi ha competenze parallele al coaching come consulenza, formazione, facilitazione, assessment o, anche, meditazione, yoga…

A guardar bene ciascuno di noi ha un network di persone che lo conoscono e una spike, un punto di forza che può sfruttare per iniziare una relazione con i clienti interessati a raggiungere un risultato.

È importante quindi focalizzarsi sul proprio patrimonio personale e farne un punto di forza, renderlo visibile.
Se questo ancora non ci basta studiamo, sperimentiamo, e facciamoci assistere come coach o come mentore da chi quell’esperienza l’ha già fatta.

Ci renderemo conto che a volte trasformiamo i nostri timori, le nostre insicurezze interne, in ostacoli esterni, ci creiamo convinzioni che diventano così reali da ostacolarci nel nostro cammino di apprendimento e di crescita. Come coach questi processi li conosciamo bene e siamo perfettamente in grado di neutralizzarli.

 

Buon lavoro!

Elena Goos executive coach Elena Goos, Professional Certified Coach, Executive Coach, Business Coach
Zone di competenza: Milano, Trieste, Lugano, Online

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